Uno spazio di dibattito nato dal basso, nell'ambito della coalizione "Italia Bene Comune"

Il 18 febbraio, su iniziativa di alcuni operatori dei beni culturali, si è tenuto a Roma l’incontro “Un futuro per i beni culturali”, organizzato dalla coalizione Italia bene comune: 18 relatori, almeno 150 partecipanti e quasi 4 ore di appassionato dibattito.
Abbiamo deciso di aprire questo blog per proseguire e approfondire lo scambio di idee su come costruire una nuova politica per i beni culturali. Stiamo inserendo le relazioni presentate il 18 e alcuni contributi circolati in preparazione dell'incontro e di un precedente incontro che avevamo organizzato in modo più "casereccio" a gennaio. Speriamo in futuro giungano nuovi approfondimenti e contributi alla discussione.

Abbiamo aperto anche la sezione Iniziative per i beni culturali dove vorremmo riunire l'indicazione di tutti i siti, gli incontri, le proposte sui beni culturali lanciati negli ultimi tempi. Questa moltiplicazione di iniziative è una forte spia di quanto il problema sia sentito e prossimo a esplodere ma provoca anche una dispersione di energie che rischia di rimanere inefficace. La nostra ambizione è riunire tutte le voci in un unico dibattito.


lunedì 18 febbraio 2013

Marco De Nicolò



Il punto di vista degli utenti

Se la salute delle biblioteche e degli archivi non è buona, non può esserlo neanche quella della ricerca storica. Le biblioteche e gli archivi sono i luoghi principali di riferimento per gli storici, perché le loro interpretazioni possano essere ancorate alle fonti da cui possano essere tratte. Più è scarsa l'efficienza delle biblioteche e degli archivi, meno possibilità ci sono per una ricerca rigorosa. Se il loro funzionamento è posto a rischio, la ricerca si trasforma in opinione soggettiva. Il pericolo più grave diventa quello di legittimare le tesi più fantasiose e, a volte, orripilanti. Una barriera civica, fondata su valori derivanti anche dalla nostra storia nazionale, può essere travolta.
Rischiano di entrare nel senso comune tesi che attribuiscono al periodo del regime fascista la macchia delle leggi razziali come unico momento di scadimento di un buon governo; si scambia il confino per un villaggio Valtour; non si dà peso alla differenza tra un regime dittatoriale e a una democrazia; oppure, facendo ancora un passo indietro nel tempo si arriva a sostenere che il Regno delle Due Sicilie, nel 1860, era la terza potenza industriale nel mondo (Pino Aprile, Terroni, p. 9), con ciò sottintendendo che quanto è avvenuto con l'unificazione nazionale ha portato una terra prospera nella miseria. Ovviamente l'autore non ha potuto neanche citare una fonte a sostegno di questa “brillantissima” tesi. Non è neanche più necessario riferirsi a fonti verificate nella loro attendibilità e veridicità, tanto che i Diari di Mussolini possono essere editi con la dicitura “veri o presunti”, rendendo così assolutamente irrilevante la distinzione tra verità e falso storico. Non dobbiamo sottovalutare il pericolo di una pubblicistica sempre più disancorata dalle fonti e che presenta la storia come una varietà di opinioni tutte valide a prescindere dal metodo e dal ricorso alla consultazione di testi e di documenti. L'attenzione che riscuotono alcune affermazioni, le vendite notevoli di alcuni saggi orientati verso questa tendenza, il dibattito che generano nei media, appaiono sì assurdi a chi possieda anche solo qualche nozione e qualche lettura, ma penetrano profondamente in gran parte della società, mettendo in forte dubbio i motivi dell'unità nazionale e la scelta democratica del Paese uscito dalla tragedia del fascismo e della guerra.
Questi aspetti legati alla vita pubblica, oltre a molti altri, più legati alla solidità della professione storica, rendono necessaria un'alleanza tra mondo degli studi, biblioteche e archivi. Si tratta di una necessaria alleanza scientifica ma anche di una naturale alleanza civile per chi sente di avere non solamente un compito professionale ma anche un dovere di cittadinanza.
Non è così casuale che, delle cinque proposte che la Società italiana per lo studio della storia contemporanea (Sissco) ha inviato alle forze politiche, solamente una riguarda l'Università ed è relativa peraltro alla richiesta di uno stanziamento maggiore di fondi per la ricerca. Le altre quattro proposte sono indirizzate al miglioramento e alla rinascita degli archivi e delle biblioteche. E vorrei cogliere l'occasione per ringraziare Walter Tocci e Matteo Orfini che hanno aderito a quelle proposte perché è rassicurante cogliere l'interesse e la condivisione di alcuni obiettivi da realizzare.
Prendendo come riferimento il budget stanziato per l'amministrazione archivistica, risulta che quasi 20 milioni su 25 disponibili, siano impegnati in affitti. La prima proposta avanzata dalla Sissco, in ordine alla demanializzazione dei locali degli istituti, va nel senso di una razionalizzazione della spesa. Quali risorse possono essere destinate, in tal modo, non solo allo sviluppo delle tecniche di inventariazione e al servizio da rendere all'utenza, ma anche alle funzioni fondamentali che ogni istituto archivistico è tenuto a rispettare? Leggevo in una slide qui presentata che in un decennio la funzione conservativa di biblioteche e archivi ha perso il 92% delle risorse. Di questo passo gli utenti cercheranno invano fonti divenute sempre più inaccessibili.
Nel dibattito pubblico sono sempre ricorrenti i termini razionalizzazione, economie, lotta agli sprechi. Una politica di costituzione di poli culturali, in cui siano presenti, al contempo, strutture bibliotecarie e archivistiche, istituti culturali, potrebbe portare al doppio risultato di un'economia nei costi e a una fruizione per l'utenza molto più razionale.
Ma oltre a razionalizzare le spese, bisogna far fronte al dissanguamento del personale. Nel nostro Paese, a differenza di altri, si è persa un'occasione storica: dare vita a un progressivo turn-over in cui il passaggio di competenze non fosse unidirezionale. A ogni cambiamento generazionale, è il personale con più esperienza e anzianità di servizio a fornire competenze al personale entrato in servizio da poco. Ebbene, il mancato turn-over nelle biblioteche e negli archivi ha fatto perdere una possibilità propria dell'era di Internet e cioè che quel passaggio di competenze non avvenisse in modo unidirezionale dalle generazioni più anziane verso quelle più giovani, ma anche in senso contrario, con le competenze legate all'informatica e alla digitalizzazione proprie delle ultime generazioni. Si sarebbe così potuto contare su un'integrazione di conoscenze, tale da portare a fruttuosi sviluppi nella continuità e nell'innovazione.
Non solo ciò non è avvenuto, ma il personale stabilizzato negli istituti bibliotecari e archivistici si riduce di anno in anno, alcune Soprintendenze archivistiche sono a rischio di chiusura, una cospicua massa di pensionamenti mette a repentaglio la funzionalità di molte sedi di studio. Molti giovani preparati transitano per quelle sedi e quando arrivano a un consolidamento delle loro competenze sono costretti ad andare via e, in moltissimi casi, a cercare un altro lavoro. Non è più rinviabile l'accesso di nuove forze nelle biblioteche e negli archivi, con concorsi che abbiano tempi e ingressi sistematici e misurati. Non immagino, infatti, un'immissione di massa, come pure apparirebbe necessaria, perché in tal modo si brucerebbero le possibilità delle generazioni future, ma un sistematico modo di reclutare e selezionare i migliori, iniziando da quelli che in questi anni hanno compiuto esperienze sul campo.
Servono risorse: se la demanializzazione e la costituzione di poli possono essere strumenti per la razionalizzazione della spesa (e, ovviamente, ce ne possono essere anche altri), siamo tra le nazioni europee che meno stanziano sul proprio bilancio in relazione al settore dei beni culturali e hanno una percentuale ridicola rispetto al Pil. Rispetto ai Paesi con cui siamo soliti confrontarci, Francia, Gran Bretagna, Germania, siamo all'ultimo posto e con un distacco notevole.
Però siamo gli inventori della “valorizzazione”, un termine che, specie in campo archeologico, è diventato grottesco. Se il fine è di valorizzare le macerie, allora teniamolo pure, ma senza una spesa pubblica destinata alla manutenzione, alla conservazione, allo sviluppo, a un'ampia fruizione, non credo ci sia nulla da valorizzare.
Il nostro Paese ha avuto grandi momenti di affermazione del valore civico del bene culturale: i nostri costituenti scrissero l'art. 9 nel 1947. Si tratta dell'unica Costituzione che menziona la tutela del paesaggio, oltre a porsi gli obiettivi di promuovere cultura e ricerca e di proteggere il patrimonio storico e artistico. Nel 1966 una valanga di ragazzi si oppose alla valanga di fango che minacciava una parte preziosa del nostro patrimonio culturale a Firenze. Perché il nostro Paese possa avere un futuro bisogna tornare a quello spirito. La nostra classe dirigente deve avere quegli ampi orizzonti che ebbero i nostri costituenti; noi tutti dobbiamo riuscire a comunicare l'importanza della generosità e dello slancio a difesa del nostro patrimonio culturale, come ebbero quei ragazzi di tanti anni fa.





Nessun commento:

Posta un commento