Uno spazio di dibattito nato dal basso, nell'ambito della coalizione "Italia Bene Comune"

Il 18 febbraio, su iniziativa di alcuni operatori dei beni culturali, si è tenuto a Roma l’incontro “Un futuro per i beni culturali”, organizzato dalla coalizione Italia bene comune: 18 relatori, almeno 150 partecipanti e quasi 4 ore di appassionato dibattito.
Abbiamo deciso di aprire questo blog per proseguire e approfondire lo scambio di idee su come costruire una nuova politica per i beni culturali. Stiamo inserendo le relazioni presentate il 18 e alcuni contributi circolati in preparazione dell'incontro e di un precedente incontro che avevamo organizzato in modo più "casereccio" a gennaio. Speriamo in futuro giungano nuovi approfondimenti e contributi alla discussione.

Abbiamo aperto anche la sezione Iniziative per i beni culturali dove vorremmo riunire l'indicazione di tutti i siti, gli incontri, le proposte sui beni culturali lanciati negli ultimi tempi. Questa moltiplicazione di iniziative è una forte spia di quanto il problema sia sentito e prossimo a esplodere ma provoca anche una dispersione di energie che rischia di rimanere inefficace. La nostra ambizione è riunire tutte le voci in un unico dibattito.


Contributi per i beni culturali

Pubblichiamo i contributi ricevuti in preparazione dell'incontro del 18 febbraio 2013.



Tomaso Montanari, storico dell'arte

Quale Mibac vorrei

Un ministero dei diritti della persona: non della burocrazia. Al servizio dei cittadini, per produrre conoscenza ed eguaglianza: non al servizio delle società dei servizi aggiuntivi, per produrre reddito privato.

Perché il patrimonio svolga il compito che gli assegna la Costituzione, e non si pieghi al mercato: perché il patrimonio è un’altra scuola pubblica, non è il volano del turismo.

Un ministero dove (se proprio è impossibile avere il ministro tecnico che moltissimi di noi vorrebbero, e che avrebbe voluto anche Massimo Severo Giannini, padre girudico del ministero stesso) il sapere tecnico abbia una vera forza. Cioè dove si riformino i comitati tecnico scientifici, e dove si faccia funzionare davvero il Consiglio superiore (che non serve solo a restaurare i palazzi dei suoi membri).

Un ministero che lavori per la legalità. Rispettando il Codice dei Beni culturali (e dunque cessando prestare le opere d’arte a iniziative di nessun valore culturale), promuovendo nomine fondate sulla competenza, lottando contro il mercato clandestino e l’esportazione illegale delle opere d’arte.

Un ministero che non avalli e non pratichi lo sfruttamento del lavoro precario.

Un ministero che tenga testa al Fec e non dimentichi che il patrimonio è laico.

Io spero fortemente che Italia Bene Comune vinca le elezioni. E che dopo governi l’Italia, il suo patrimonio storico e artistico e il suo paesaggio come un bene comune.

Nel 1948 la Repubblica ha risposto all’invocazione di Raffaello a Leone X: la Costituzione ha spaccato in due la storia dell’arte italiana, assegnando al patrimonio storico e artistico della nazione una missione nuova al servizio del nuovo sovrano, il popolo.

La storia dell’arte è in grande parte la storia della rappresentazione delle classe dominanti, e per un lungo tratto i suoi monumenti sono stati costruiti con denaro sottratto all’interesse comune. Ma la Costituzione ha redento questa storia: le ha dato un senso di lettura radicalmente nuovo. Il patrimonio artistico è divenuto un luogo dei diritti della persona, una leva di costruzione dell’eguaglianza, un mezzo per includere coloro che erano sempre stati sottomessi ed espropriati.

È stata la promessa di una rivoluzione: sta a noi mantenerla.

Le proposte

Scardinare il Nucleo dei Carabinieri per la Tutela dal controllo del ministro e del Ministero.

Impegnare il Mibac nell’abolizione del FEC e nella devoluzione del suo patrimonio al Mibac stesso.

Riformare il comitato tecnico scientifico per la storia dell’arte (e su questo modello anche gli altri): 7 membri, di cui 4 eletti direttamente da CUNSTA (Consulta universitaria nazionale storici dell’arte), 3 eletti dagli storici dell’arte Mibac. E dargli un vero potere di veto sulle mostre e sugli acquisti.

Sottrarre alle società di servizi le attività culturali e didattiche, restituendole agli archeologi e storici dell’arte Mibac.

Abolire la Direzione generale per la valorizzazione.

Limitare a 4 i consiglieri del ministro, obbligandolo a motivare con un documento pubblico la scelta e a renderne noti subito i titoli (controllandoli!).

Abolire le Direzioni generali regionali.

Non realizzare nuove fondazioni cui devolvere pezzi di patrimonio.



Libero Rossi, FP-Cgil nazionale

Qualche considerazione sul MiBAC e sul concetto di bene culturale

I Beni culturali continuano ad essere presenti nell’immaginario collettivo con documenti, incontri, proposte paradigmatiche fino a quelle elettorali. Sulle proposte delle diverse forze politiche non vale soffermarsi più di tanto in quanto sono piuttosto occasionali che frutto di una coerente analisi critica e autocritica di quanto ognuna di esse ha fatto per i comparti della cultura.
Dall’iniziativa del Domenicale de “il Sole24Ore” ad oggi – che ricordo ha visto pure l’intervento del presidente della Repubblica ( ma perché non un messaggio alle Camere?) - siamo arrivati alla richiesta di un Ministero della cultura sul quale ci si è tornati di nuovo a dividere.
Al solito, di fronte a un problema come il disfacimento del Mibac non se ne analizzano le cause, né se ne propongono i rimedi possibili ma si getta il testimone in avanti con il solito benaltrismo magari ammantato da esperienze estere. Dimenticando le specificità italiane sulla diffusione dei beni, della loro contestualizzazione, dell’articolazione della tutela e della esperienza di un quindicennio di Beni e attività culturali.
La mancata analisi del fallimento veltroniano che appiccica alle “cose d’arte” lo spettacolo e cinema quindi il Titolo V della Costituzione o la sciagurata separazione fra tutela e valorizzazione, l’abbandono della ricerca ecc. non aiuta oggi a discernere alcune delle linee per far uscire il settore dalla crisi. La proposta messa in campo da Esposito e Galli della Loggia rischia solo di far deflagare tutto il settore. L’obiezione non è tanto riferita al ricorrente dirigismo (che non sta in piedi , date le condizioni dei settori) o al Minculpop (..ma non andiamo oltre le “censure” politiche à la Melandri)quanto piuttosto alla debolezza dei settori che non posseggono una loro forza, mission… figurarsi parlare di governance.
Insomma si deve ridare senso al Ministero magari rivisitando il disegno di Spadolini, eliminando doppioni e sovrastrutture (tipo Direzioni regionali, Direzione della valorizzazione…), ridefinendo gli ambiti e responsabilizzando le diverse istituzioni che operano o gestiscono i beni culturali sulla scorta dell’art.9 della Costituzione, ottimizzando risorse e personale in base alla mission. E mettendo fine alla sciagurata prassi dei tagli lineari.

 
Marco Carassi, Presidente ANAI

Appunti per una politica dei beni culturali: ovvero quello che secondo noi dovrebbe fare un governo per i beni culturali 

Il Ministero per i beni e le attività culturali è prossimo al collasso e con esso la capacità del nostro paese di tutelare i propri beni culturali. Ciò è dovuto a una serie di fattori concorrenti, fra cui si possono ricordare: ministri disinteressati e incompetenti; vent’anni di blocco del turn over, che ha prodotto un drammatico depauperamento delle risorse umane, ormai ridotte al lumicino (abbiamo ad esempio Archivi di Stato senza neppure un archivista) e un drammatico invecchiamento del personale (la maggior parte dei tecnici è intorno ai 60 anni); affastellarsi di improvvidi interventi di riforma del Ministero che hanno prodotto una proliferazione dei posti da direttore generale, a scapito delle strutture tecniche; una politica delle nomine dirigenziali improntata spesso a clientelismo e logiche di appartenenza politica, che ha prodotto una girandola di dirigenti incompetenti in posti chiave dell’amministrazione; taglio delle risorse finanziarie che in alcuni casi (come quello dei fondi per il restauro dei libri) sono arrivati fino al 90%.

Per far fronte a questa situazione è urgente assumere una serie di iniziative, alcune di carattere politico, altre di carattere normativo.


Sul piano politico:

  1. innanzi tutto è necessario che il Mibac sia affidato a personalità di alto profilo che voglia effettivamente dedicarsi alla cura di questo settore. Se il Mibac continua ad essere usato come premio di consolazione per politici che aspiravano ad altro, non c’è speranza di risollevare il settore;

  1. il Mibac ha bisogno di direttori generali che siano allo stesso tempo personalità integerrime, e tecnici competenti. Occorre dare maggiore stabilità e durata alle cariche: la estrema volatilità degli incarichi negli ultimi anni ha prodotto un’alta dirigenza assoggettata al potere politico e incapace di lavorare su progetti di lungo periodo, sia perché impossibilitata e sia perché disinteressata a farlo; bisognerebbe modificare, almeno per il settore dei Beni Culturali, la normativa in tema di spoil system, che ha reso ricattabili i dirigenti tecnico-scientifici anche a livello periferico (non mancano i casi di contratti non rinnovati, o di sedi non concesse benché coerenti con l’esperienza specifica del richiedente che però aveva dato prova di indipendenza).

  1. Il Mibac è in via di estinzione a causa della politica perseguita nell’ultimo ventennio di non assumere personale (o assumerne con il contagocce), mentre si largheggiava in consulenze esterne e nell’utilizzo di lavoro precario. Questa politica ha favorito sprechi e clientelismi, ha prodotto sfruttamento, ha messo spesso l’Amministrazione in situazione di illegalità (con l’utilizzo di falsi contratti a progetto e falso volontariato, che in realtà mascheravano lavoro parasubordinato) e non ha permesso un regolare ricambio generazionale, determinando la dissipazione di un prezioso patrimonio di conoscenze. Occorre con urgenza ricominciare ad assumere personale mediante concorsi rigorosi, tenendo presente che la disponibilità di adeguato personale scientifico negli istituti centrali e periferici del Mibac fornisce un volano moltiplicatore per lavori di conoscenza, tutela e valorizzazione dei beni sul territorio.


  1. Si deve aumentare e rimodulare il finanziamento per le attività di tutela e conservazione del patrimonio.
    1. Le risorse finanziarie del Ministero sono state tagliate brutalmente, tanto da rendere in molti casi impossibile assolvere ai compiti istituzionali. Ma oltre al taglio delle risorse, ciò che ha messo in ginocchio gli istituti tecnici del Ministero è la volatilità e l’incertezza dei finanziamenti (non si sa di quanti fondi si potrà disporre e quindi non si ha la possibilità di programmare). L’accredito dei fondi presso gli istituti periferici del Ministero ormai spesso avviene in autunno, mettendo gli istituti nell’impossibilità di utilizzare i pochi fondi assegnati, che per questo motivo finiscono in perenzione.
    2. Il luogo comune secondo cui i finanziamenti ordinari sono improduttivi, mentre solo i fondi straordinari permettono investimenti produttivi è falso. L’esperienza insegna che i finanziamenti straordinari sono stati fonte di colossali sprechi, mentre i finanziamenti ordinari vengono in genere oculatamente utilizzati per attività di tutela. I beni culturali si salvaguardano con una efficace manutenzione ordinaria dei beni e con una continua attività di ispezione sul territorio, peraltro poco costosa, non con progetti straordinari. Va rivalutata l’importanza delle risorse per la gestione corrente degli istituti culturali, che in tempi di crisi costituisce investimento per il futuro.
    1. Risparmiare è possibile, se si mette in campo una energica politica di riallocazione delle sedi. Attualmente, ad esempio, la Direzione generale per gli archivi e gli istituti che da essa dipendono (Archivi di Stato, Soprintendenze archivistiche, Archivio centrale dello Stato e Istituto centrale per gli archivi) spendono complessivamente circa 20 milioni di euro l’anno in affitti (si tratta di ca i 4/5 dell’intero budget annuale dell’Amministrazione archivistica). Negli ultimi anni si è molto parlato di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, come mezzo per risanare le finanze pubbliche: rischia di essere una occasione di lauti affari per alcuni grandi immobiliaristi e un pessimo affare per la Pubblica amministrazione, posto che molti uffici pubblici hanno sede in edifici che sono proprietà di privati. Gli italiani, popolo di proprietari di case, sanno bene che è più conveniente essere proprietari del proprio alloggio piuttosto che essere in affitto. Lo stesso vale per lo Stato: si pensi che l’Archivio centrale dello Stato paga 5 milioni di euro l’anno di affitto (se la sede, di proprietà dell’Ente EUR, fosse stata a suo tempo demanializzata, pagando un equo indennizzo, non si sarebbe risparmiato?). Spendiamo migliaia e migliaia di euro per ristrutturare e mettere a norma edifici in cui siamo in affitto. Anche sedi demaniali lontano dai centri storici potrebbero essere preziose per l’Amministrazione archivistica, che negli ultimi anni, per acquisire nuovi depositi non troppo costosi, ha dovuto prendere in affitto magazzini in località decentrate.
    Senza creare una regola generale, occorrerebbe verificare in quali casi concreti sarebbe utile ed economico creare dei poli archivistici, incentivando i soggetti diversi che intendessero mettere in comune risorse edilizie, finanziarie ed umane per conservare correttamente grandi archivi storici o di deposito. Gli Archivi di Stato potrebbero sovente proporsi come il fattore decisivo in tali progetti, ipotizzabili forse anche mettendo in rete più sedi aperte a turno. Certo occorre incentivare la massima collaborazione tra persone, istituti e amministrazioni diverse in base a criteri di funzionalità, autonomia e complementarietà, in un quadro programmatico concordato.

    1. Risparmiare è possibile se il Ministero assume degli informatici. Per lo sviluppo dei sistemi informativi, in questi anni siamo stati del tutto in balia delle ditte di informatica, a cui sono stati dati milioni di euro, senza che l’amministrazione avesse esperti interni che le dessero la capacità di contrattare e controllare la qualità dei prodotti. Sono state così sprecate montagne di soldi. Avere degli informatici interni, che acquisiscano una specializzazione nello sviluppo dei sistemi informativi archivistici, permetterebbe di risparmiare molto denaro e di migliorare molto la qualità dei nostri sistemi informativi.
    Risparmi e razionalizzazioni potrebbero derivare dall’istituzione di depositi pubblici consortili di archivi digitali, cui versare in tempi brevi, enormi quantità di documenti che a distanza di tempo dalla creazione diventano molto difficili da salvare e gestire. Questi versamenti tempestivi fungerebbero anche da copie di sicurezza per i soggetti produttori degli archivi e consentirebbero scarti (cancellazioni) più controllati e sicuri.



    Sul piano normativo e delle riforme del Ministero:
    0) Una riforma a costo zero che potrebbe migliorare la produzione, gestione e conservazione degli archivi della PA ex art. 61 DPR 445/2000, sarebbe l’inserimento obbligatorio, in ogni bando di selezione del personale pubblico impiegatizio e dirigenziale, della materia “Organizzazione e gestione dell’archivio pubblico come risorsa per l’efficienza amministrativa, l’economicità, la trasparenza, la tutela dei diritti e della testimonianza storica”. Effetti positivi potrebbero derivare anche dall’inserimento del tema tra gli obiettivi di tutti i dirigenti.
    1. È necessaria una riforma del Ministero di ampio respiro, che valorizzi le competenze tecniche; per idearla è necessario un ampio scambio di idee che coinvolga i tecnici del Ministero, esperti esterni e le associazioni che rappresentano il mondo dell’utenza. L’esperienza ci insegna che le riforme (1998, 2004, 2007, 2009) partorite nel chiuso di qualche ufficio legislativo, rifiutando qualsiasi forma di dibattito pubblico, producono guasti che non possiamo più permetterci.

    1. È necessario ricostituire i comitati tecnico scientifici e riformare il Consiglio nazionale, in modo da farlo essere un think tank per il Mibac, in cui tecnici dell’amministrazione, esperti esterni, rappresentanti dell’associazionismo del settore e vertici politici collaborino alla elaborazione delle linee di politica culturale del Ministero. Si dovrebbero sfruttare di più anche le consultazioni con le associazioni, che possono segnalare aspetti e considerazioni che la struttura gerarchica non può far giungere con franchezza in alto loco. E si dovrebbe comunque dare risposta alle lettere indirizzate al Ministero sulle questioni di sua competenza.

    1. È necessario riconoscere che l’esperienza delle direzioni regionali non ha dato i risultati sperati e dovrà essere superata, con la loro abolizione. Le direzioni regionali erano infatti state istituite dopo la riforma costituzionale di decentramento regionale, come interlocutore unico del Mibac in ciascuna regione. Esse però hanno prodotto – oltre a una moltiplicazione a dismisura dei posti da direttore generale – disfunzionalità e inefficienze: i tempi dei procedimenti si sono allungati e gli istituti periferici si trovano a dipendere contemporaneamente da due strutture gerarchiche sovraordinate (direzioni regionali e direzioni generali) con conseguenti inefficienze. Un caso esemplare, in negativo, sono i ritardi talora insostenibili provocati dalla centralizzazione a livello regionale della corresponsione delle indennità accessorie al personale. Un altro grave inconveniente è quello della compressione della autonomia culturale degli istituti da parte di una Direzione priva di competenze scientifiche, talora influenzata da consulenti esterni concentrati sull’eco mediatica di tutte le iniziative e non sul loro contenuto culturale. Ciò non significa che non si debbano utilizzare in comune certi servizi, come un gruppo di lavoro intersettoriale sulle pratiche di pensione, o un ufficio unico per le gare d’appalto di opere pubbliche. A coordinare quei servizi che risulti effettivamente utile gestire in comune, potrebbe essere il più anziano dei capi d’istituto, nel ruolo di presidente della loro rinnovata Conferenza. La struttura del Mibac andrebbe comunque burocraticamente semplificata e ripensata in funzione dei mutati assetti dell’amministrazione pubblica.

    1. Bisogna ripristinare i consigli d’istituto (organi consultivi negli istituti periferici) soppressi di fatto dalla normativa emanata dal ministro della funzione pubblica Brunetta.

    1. Per far fronte creativamente anche a problemi nuovi, occorre potenziare la formazione e l’aggiornamento professionale permanente integrando l’indispensabile bagaglio di conoscenze teorico-disciplinare e multidisciplinare, con la messa a frutto del grande patrimonio di esperienza che i migliori operatori hanno accumulato in una vita di lavoro.

    1. Sarebbe opportuno che il Mibac si facesse carico di una campagna per sviluppare nell’opinione pubblica la consapevolezza che il patrimonio culturale italiano è una risorsa da difendere e rendere correttamente fruibile, innescando meccanismi virtuosi di collaborazione volontaria dei cittadini e di sussidiarietà.

    1. Sarebbe assai utile un accordo quadro tra il Mibac e le Autonomie scolastiche per favorire le collaborazioni tra gli istituti periferici del Ministero e gli istituti scolastici ai fini del miglioramento della didattica di molte materie (non solo la storia dell’arte) e per coltivare nelle giovani generazioni una più profonda sensibilità culturale.

    Per quanti riguarda in particolare il settore degli archivi:

    Il problema più drammatico è il rischio della perdita di gran parte della documentazione della seconda metà del Novecento. Occorre affrontare urgentemente il nodo della selezione e conservazione di un patrimonio la cui mole e natura (oltre ai documenti cartacei, fotografie, registrazioni sonore, audiovisivi, documenti informatici) richiede strumenti, strutture e competenze specialistiche e un cospicuo investimento di risorse. Per tutte le pubbliche amministrazioni sarebbe fonte di risparmio e di razionalizzazione poter fruire del sostegno tecnico disinteressato di Soprintendenze archivistiche e Archivi di Stato nel gestire i propri archivi anche sotto il profilo della selezione e dello scarto. In materia, sarebbe utile sviluppare la collaborazione (già teoricamente possibile) tra Archivi di Stato e Soprintendenze archivistiche per l’esercizio delle funzioni di vigilanza-sorveglianza sugli archivi pubblici e su quelli privati notificati. Senza ostacolare la destinazione ai servizi d’archivio di tutte le Pubbliche Amministrazioni di personale stabile, occorrerebbe favorire altresì – con specifiche norme sui rapporti di lavoro e fiscali - l’utilizzo sussidiario degli archivisti libero professionisti, in servizi e progetti cui il singolo Ente non possa far fronte con le risorse interne.
    Occorrono strategie ad hoc per la conservazione dei documenti digitali, che hanno sostituito in gran parte quelli cartacei. Il Mibac non ha né le strutture né il personale per affrontare la conservazione nel lungo periodo di questo patrimonio.

      1. negli anni è stata elaborata una cospicua normativa in materia, per lo più confusa e contraddittoria (ad esempio quella in materia di posta elettronica certificata, e per altri aspetti lo stesso Codice dell’Amministrazione Digitale), mentre il Mibac rimaneva al di fuori di questo processo, rinunciando al suo ruolo istituzionale di emanare linee guida per la gestione della documentazione digitale.
      2. l’Amministrazione degli archivi di Stato non ha neppure un informatico specializzato nella gestione e nella conservazione dei documenti digitali, né un centro attrezzato per la loro conservazione. La conservazione dei documenti digitali è estremamente complessa, necessita di tecnici di altissima specializzazione, con competenze sia informatiche che archivistiche, nonché strutture di conservazione ad hoc. Siamo l’unico paese europeo a trovarsi in queste condizioni. Non solo i paesi europei più ricchi, ma anche paesi come Croazia, Lituania, Estonia, ecc. hanno in atto politiche per la conservazione dei documenti digitali e, nell’ambito dell’Archivio nazionale, una sezione che conserva documenti digitali. In Italia ancora non esiste nulla del genere (sulla carta, è stato istituito un “repository” per la conservazione di archivi digitali presso l’Archivio centrale dello Stato, ma è, appunto, ancora solo sulla carta).


    Elvira Grantaliano, archivista di Stato

    La sala studio degli Archivi di Stato: proposte per una buona gestione 

    Sono negli Archivi di Stato dai primi anni '80 e ora mi sto avvicinando alla pensione. Ho diretto parecchi servizi, e a quelle che sono le finalità principali del nostro lavoro, conservazione, fruizione e valorizzazione del bene culturale archivio ho dedicato grande impegno e anche entusiasmo, sempre credendo fortemente nella condivisione professionale e umana con colleghi dei diversi profili, ho scritto e pubblicato lavori, da sola e in collaborazione, ho dedicato molto tempo all'attività didattica e alla formazione.
    Oggi chiudo la mia vita lavorativa dirigendo la sala di studio dell'istituto in cui presto servizio dal 1988, l'Archivio di Stato di Roma, insieme ad un collega bibliotecario, Andrea Papini, in un contesto in cui le nostre rispettive professionalità si integrano perfettamente, e che condivide queste note.
    La mia esperienza in questo ruolo, tuttora in corso, ha evidenziato con chiarezza assoluta come la continua e progressiva riduzione delle risorse, non solo economiche ma anche umane – tagli al bilancio, pensionamenti, mancate assunzioni – si traduca, per questo servizio, in una particolare “sofferenza”.
    La sala di studio di un archivio, piccolo o grande che sia, è la principale interfaccia con il pubblico, è il versante che l'istituto mostra immediatamente di sé, con cui si presenta. E' il luogo di fruizione della documentazione per eccellenza, il servizio reso quotidianamente ad una utenza che aumenta nel numero e nelle tipologie in misura inversamente proporzionale al personale in grado di sostenerne le richieste.
    Come in quasi tutti gli istituti, ormai da tempo alcuni compiti essenziali, nel nostro caso la presa e ricollocazione del materiale documentario, sono svolti da personale volontario, riunito in cooperative, che per fruire del rimborso spese deve ricorrere al famigerato sistema degli scontrini. E non entro nel merito di altre attività connesse al buon funzionamento della sala, come da un lato l'accoglienza e la sorveglianza al pubblico, con personale di ruolo in costante diminuzione, dall'altro l'aggiornamento e il riordino degli strumenti di corredo, in primis gli inventari – quando si riescono a fare – che sotto la guida dei funzionari ancora presenti in servizio si avvalgono di colleghi precari, con diversi e ineffabili generi di contratto, e di volontari.
    Il personale di ruolo, appunto, di tutte le qualifiche, è ridotto e in parte vicino al pensionamento, per cui la sala si regge su un equilibrio fragile, in cui ciascuno fa il possibile per far funzionare le cose – e questo va sottolineato – ma basta l'assenza imprevista di uno o due elementi per mettere in crisi il ssitema.
    La situazione è particolarmente grave, perché intorno alla sala di studio si svolgono e si muovono molte altre attività, come il restauro – sul quale non posso qui soffermarmi - la didattica e la formazione, quando ormai la ricerca e l'approccio alle fonti documentarie sono diventati essenziali anche per l'insegnamento, soprattutto della storia. Lo attestano le continue richieste di istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, dalle medie all'università, la frequenza delle visite all'Archivio e delle esperienze didattiche sviluppate in sede, l'interesse per le nostre iniziative culturali.
    Rispetto ai problemi in cui versano oggi gli archivi, è forse bene sottolineare ancora una volta che si può tentare di risolverli tenendo conto – e non sembri un'inutile ripetizione – della loro specificità.
    Da quasi vent'anni si assiste ad una qualche forma di equiparazione tra gli archivi, istituti di ricerca, e i musei, in base a un'idea, in parte diffusa, che la valorizzazione del bene culturale “archivio” sia possibile solo attraverso un qualche evento espositivo; questo ha, di fatto, contribuito a mettere talvolta in secondo piano l'aspetto della ricerca e della didattica, viste come puramente strumentali a fronte di manifestazioni fini a se stesse.
    Se è senz'altro vero, e incontestabile, che la valorizzazione, nei suoi diversi aspetti, contribuisce in misura risolutiva alla conoscenza del bene culturale “archivio” e ne accresce le potenzialità di fruizione, è altrettanto vero la stessa valorizzazione non può che trarre vantaggio se integrata al rispetto delle varie specificità. In tal senso, occorre una maggiore attenzione al problema della conservazione e fruizione delle fonti archivistiche, che necessitano di più risorse, e, soprattutto, mirate.


    Vladimiro Serangeli, tipografo

    I tagli lineari: la ricaduta sulla fornitura di servizi



    Sono titolare di un piccolo studio grafico specializzato nella stampa editoriale cosiddetta di “nicchia”, cioè libri di piccola tiratura, rivolti a studiosi ed “addetti ai lavori”.
    Siamo una piccola realtà che opera a livello familiare e collaboriamo da anni con due Istituti storici di chiara fama nazionale e internazionale, che curano l’edizione di importanti collane. Tali Istituti, data la natura di no profit, godono di un finanziamento pubblico proprio per la loro funzione e cioè la divulgazione di opere sulla storia del nostro Paese e dare la possibilità a studiosi, affermati o meno, di poter vedere pubblicate loro ricerche. Inoltre raccolgono archivi, conservano un vasto patrimonio documentario e artistico, promuovono congressi e seminari. Il finanziamento è soggetto al Ministero per i beni e le attività culturali.
    Purtroppo però nel corso degli anni tali finanziamenti sono andati sempre più diminuendo e di conseguenza anche la produzione editoriale ne ha risentito, con cali negli ordinativi e nelle edizioni, con forti ritardi nei pagamenti dei lavori commissionatici, creandoci gravi problemi finanziari e a ridimensionare i rapporti con i propri fornitori con relativa diminuzione del giro di affari.
    Fino a giungere alla famigerata frase “con la cultura non si mangia”, pronunciata dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti per giustificare i tagli orizzontali ai finanziamenti pubblici e alla tentata chiusura di circa trecento enti e istituti ritenuti inutili. E solo grazie all’intervento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che i due Istituti storici per cui lavoro non sono stati soppressi, ma hanno avuto un’ulteriore decurtazione dei finanziamenti per cui al momento ci troviamo nella paralisi più totale e con poca speranza nel futuro.
    E purtroppo analoga situazione la si riscontra anche con lo stesso Ministero per i beni e le attività culturali, dove dobbiamo anche qui registrare una notevole diminuzione negli ordinativi e nelle tirature.

     

    Paola Bianchi, ricercatrice di Storia moderna


    Sul concetto di bene culturale

    Il concetto di bene culturale è stato, negli ultimi due decenni, esteso in modo discutibile ad ambiti che hanno ridisegnato il ruolo dei ministeri a seconda dei cambi di governo. Queste operazioni d'alchimia politica sono state giustificate agli occhi della pubblica opinione con ragioni di ordine economico, le stesse ragioni che hanno portato a smontare e rimontare il meccanismo di gestione. Non ha bisogno di commento lo stato del patrimonio culturale del nostro Paese (quello artistico, archeologico, museale, bibliotecario e archivistico - questa l'accezione che mi piace continuare a considerare), affetto da trascuratezza e colpevole abbandono. Nella percezione comune il bene culturale viene posposto a beni di primaria necessità: sanità, infrastrutture, politica dell'occupazione. L'inganno che si perpetua è quello di considerare la salvaguardia e la valorizzazione dei beni culturali come una forma di mancato investimento. Non molto differente risulta la distorsione che si applica nella valutazione delle risorse da destinare all'istruzione e alla ricerca: la questione è del tutto speculare.
    Vorrei qui esprimere poche considerazioni forse banali, eppure di fatto eluse da ripetute "agende politiche":
    - il bene culturale (inteso come sopra) costituisce il vero tesoretto per il nostro Paese, un bene solido perché fondato su secoli di storia e di tradizione; pochi decenni d'incuria e di cattiva amministrazione possono rischiare di compromettere irreparabilmente e colpevolmente questa miniera (con buona pace di quei patrocini che sono stati ottenuti dalle organizzazioni internazionali);
    - il bene culturale deve riallinearsi alle percentuali di spesa degne di un Paese della Comunità europea, se non si vuole finire in balia di dismissioni foriere di una pura speculazione;
    - il bene culturale non può essere affidato se non a figure dal profilo adeguato: la competenza (un profilo culturale o scientifico di rilievo) dovrebbe essere il primo requisito richiesto; il bene culturale non può continuare a essere merce di scambio, né oggetto di elegante trastullo per chi non abbia la caratura per accostarsi adeguatamente al compito.




    Ferruccio Ferruzzi, ex presidente Comitato tecnico-scientifico per gli archivi


    Appunti per un programma politico per i beni culturali 

    Premessa. - Agli Stati generali della cultura organizzati dal PD alle officine Marconi di Roma il 3-4-dicembre 2011 furono fissate alcune linee programmatiche sui beni culturali che sono ancora valide e possono essere integrate alla luce degli sviluppi più recenti.
    Esiste una stretta relazione tra cultura e capacità innovativa e produttiva di un paese, per cui la cultura deve considerarsi non un consumo di lusso a carico dei bilanci pubblici da tagliare prioritariamente in momenti di crisi economica, ma anzitutto un parametro diretto della qualità della vita sociale - insieme sanità, diritti civili e servizi pubblici -, e un investimento strategico a medio-lungo termine per l’intero sistema - Paese.
    Occorre pertanto ridurre lo spread cresciuto negli ultimi anni in questo campo tra l’Italia e i paesi più avanzati d’Europa in termini di rapporto delle risorse pubbliche investite in cultura sul PIL (siamo ormai al disotto dello 0,2 % a fronte dell’1,2 % dell’Inghilterra e dell’1% della Francia). I tagli recenti ai fondi per investimento e funzionamento del Ministero per i beni e le attività culturali, che su molte voci giungono al 50% dei finanziamenti 2011 (già fortemente ridotti).

    Le modalità di finanziamento del settore. - Il primo e naturale modo in cui si potrebbe ottenere l’incremento di fondi sarebbe una ripartizione dei fondi del bilancio statale 2013 con una percentuale maggiore per il Ministero per i beni culturali. Ciò comporterebbe alcune, se pur lievissime, corrispondenti riduzioni percentuali ad altri Ministeri che però si tradurrebbero, dato che il bilancio 2013 ancora ben difficilmente potrà essere aumentato rispetto al 2012, anche in diminuzioni reali di assegnazioni. Si possono quindi immaginare le resistenze che un simile riequilibrio potrebbe destare. Posto che almeno un significativo segnale in questa direzione va comunque dato dal nuovo governo a guida PD, occorre anche prevedere fonti specifiche supplementari di finanziamento per i beni culturali, sul modello dei fondi Lotto introdotti da Veltroni (e nel frattempo saccheggiati da altri dicasteri, come i fondi 8 per mille, quest’anno per la seconda volta sottratti del tutto ai Beni culturali). Anzitutto occorrerà utilizzare effettivamente i fondi del 3% degli stanziamenti previsti per le infrastrutture previsti dall'art. 60 , c. 4, della l. 289/2002 (Finanziaria 2003) che, dopo la soppressione della società Arcus che li gestiva con criteri largamente clientelari e impropri avviata dalla Spending review, saranno direttamente assegnati allo stesso Ministero. Intanto, dato che la legge li assegna, oltre che per “gli interventi a favore dei beni e delle attività culturali” (finora dati a pioggia secondo i sopraddetti criteri)anche per “la spesa per la tutela”, in questa deve rientrare anche l’integrazione dei fondi per il funzionamento degli istituti che assicurano la tutela e conservazione dei beni culturali, nonché per l’assunzione del personale assolutamente e urgentemente necessario per cominciare a coprire i grandi e crescenti vuoti di organico.
    Inoltre occorre studiare l’introduzione di una nuova norma di finanziamento del settore basta su un principio analogo a quello della finanziaria 2003 (l’impatto delle infrastrutture sul patrimonio paesaggistico e archeologico), più ampia e strutturale. Il turismo culturale è una componente prevalente del turismo estero in Italia. Per visitare i nostri beni culturali vengono ogni anno decine di milioni di persone da tutto il mondo. Tutto l’indotto più ampio del turismo culturale produce uno specifico provento fiscale diretto e indiretto, che si può calcolare o quanto meno stimare. Sembra giusto e ovvio che una quota di questo provento dello Stato sia specificamente destinata alla manutenzione e gestione del patrimonio culturale che è la causa della sua esistenza, a condizione che resti appunto fruibile. I modi di valutare quantitativamente tale misura e di introdurre un meccanismo giuridico-istituzionale per realizzarla possono essere diversi e vanno studiati, ma è evidente che una simile misura si rende ormai assolutamente necessaria, se vogliamo far fare al settore quel ‘salto’ di efficienze e qualità che da anni si attende invano e che sarebbe foriero di ulteriori grandi sviluppi culturali, economici e occupazionali per il nostro Paese.

    La riforma del Ministero. - La struttura del Ministero preposto alla tutela, d’altra parte, non corrisponde più alle esigenze per cui era nato, né è in grado di rispondere ai nuovi sviluppi del settore. La mutazione genetica di questi anni ne ha accresciuto a dismisura la struttura burocratica centrale, a sua volta moltiplicata a livello regionale in altrettante ‘direzioni regionali’ che accentrano ben 33 funzioni amministrative e di tutela prima svolte dalle soprintendenze la cui attività è ora appesantita dalla necessità di passare quasi tutta per il nuovo livello intermedio, mentre deperiva quella periferica degli istituti di tutela, conservazione e fruizione (musei, archivi, biblioteche), trasformandolo in un mostro macrocefalo.
    La farraginosità derivante delle procedure di programmazione e i vincoli della contabilità di stato, manovrata dal Ministero dell’economia in modo da mettere a disposizione effettiva le risorse solo a fine esercizio annuale e soprattutto da lasciare l’assoluta incertezza sulla successiva disponibilità di risorse per progetti pluriennali, intralciano l’attuazione di tanti interventi rilevanti e concorrono a formare il fenomeno patologico degli ingenti ‘residui’ non spesi.
    Lo svuotamento progressivo dei ruoli del personale tecnico, che per la persistente assoluta mancanza di assunzioni si esauriranno del tutto entro pochi anni, sta per condurre al collasso certo dell’intera attività del Ministero, senza che siano stati presi adeguati provvedimenti preventivi. Nel frattempo si è formato un precariato tecnico qualificato ‘stabile’ a cui il Ministero ricorre con forme di esternalizzazione del tutto inconvenienti (vedi il caso della società Ales che fornisce personale distribuito nelle strutture del Ministero sugli stipendi del quale percepisce un aggio del 20% e fa gravare l’IVA al 21%, spese aggiuntive inutili che da sole permetterebbero l’assunzione di circa 400 tecnici).
    C'è quindi urgente bisogno di invertire la rotta con una sostanziale riforma, snellendo l'apparato centrale, ridando fiato e autonomia alle funzioni tecnico scientifiche che sono quelle appartenenti ai rispettivi settori di beni (architettonici, archeologici, storico artistici, archivistici, bibliotecari), sia quelle centrali ripristinando i comitati consultivi tecnico-scientifici di settore inopinatamente soppressi dalla Spending review (di conseguenza reintegrando la composizione del Consiglio superiore con i loro presidenti) e affidando le direzioni generali di settore a dirigenti tecnici rispettivamente specializzati, sia soprattutto alle strutture tecniche periferiche e territoriali. Valorizzare le competenze esistenti, inserire al più presto nuove professionalità per accompagnare il necessario ricambio generazionale, senza il quale il ministero rischia a breve la cessazione dei servizi per mancanza di qualsiasi sostituzione del personale uscito in turnover, sono premesse senza le quali è impensabile immaginare un futuro per il ministero. Tale soluzione dovrà coinvolgere in modo più diretto e organico anche gli altri livelli di governo territoriale per formare un sistema comune coordinato e vincolato al rigido rispetto di regole certe di tutela e di modelli di gestione e criteri di efficacia ed efficienza degli interventi, di autonomia degli apparati tecnici e di formazione e reclutamento del personale, nonché di rapporto con i privati. Ciò anche al fine di individuare e attivare forme di coordinamento della gestione e fruizione dei beni culturali con le attività turistiche, le relative infrastrutture e il loro indotto per creare sul territorio sistemi sinergici in grado di valorizzare effettivamente il grande patrimonio culturale diffuso del Paese.
    Sotto il profilo politico va infine fatta una riflessione sul ruolo stesso del Ministero nella compagine governativa: il suo degrado è stato finora tacitamente accettato dalla classe politica mantenendolo in una posizione emarginata e residual-clientelare, per cui il ministero è stato affidato a figure marginali e improprie, addirittura manifestamente aliene al proprio stesso ruolo. Il Ministero va invece affidato a una figura di alto profilo e capacità che già si sia segnalata per l’impegno nel settore, che va sostenuta con un pieno e pubblico impegno programmatico e finanziario nell’ambito della politica del nuovo Governo e con uno staff multidisciplinare competente che assicuri un contatto effettivo del ministro con i settori di attività e sia estraneo alle modalità di gestione clientelari deleterie per le attività tecnico-scientifiche e l’autonomia degli organi preposti alla tutela condotta che si sono di recente impadronite del ministero.
    Al fine di assicurare una corretta e adeguata assegnazione di risorse di bilancio al Ministero secondo le linee sopra esposte e di evitare i soliti tagli lineari, o peggio mirati, dell’ultim’ora decisi unilateralmente dallo staff del Ministero dell’economia in occasione dell’urgenza delle varie manovre e leggi di stabilità, sarà anche necessario che il ministro possa partecipare direttamente a forme più collegiali di concertazione dell’assegnazione e modifica delle risorse di bilancio in sede governativa (p. es. cabina di regia).


    Comitato Vincitori e Idonei Concorso Mibac 500

    Lettera al Ministro per i Beni e le Attività Culturali

    Gentile Sig. Ministro, chi le scrive è il Comitato Vincitori e Idonei Mibac 500 e rappresentiamo gli ultimi idonei del concorso Mibac del 2008 per vari profili professionali. Siamo rimasti solamente in 184 e crediamo fortemente che la nostra assunzione sia una metafora concreta del dare linfa vitale a tutta quella rete capillare formata dai musei e dai siti archeologici d’Italia i quali, oggi più che mai, lamentano incessantemente una carenza di personale che porta spesso alla loro chiusura con conseguente danno d’immagine e mancanza di introiti.

    Abbiamo sempre notato da parte del suo Ministero la volontà di assumerci (e il decreto Salva Italia andava in quella direzione), ma purtroppo, dopo l’ultima tornata di giugno 2012, tutto il meccanismo si è fermato a causa della Spending Review che ha assestato un duro colpo agli organici già traballanti del Mibac, i quali risentono già del blocco del turn over al 20% e dei numerosi pensionamenti.

    Noi speriamo che il suo insediamento in questo dicastero rappresenti de facto una svolta decisiva per il mondo della cultura. Permettere a noi, tutti giovani laureati che hanno superato un difficilissimo concorso pubblico, di essere assunti e di esaurire completamente le graduatorie, sarebbe certamente un segnale di grande importanza. Sappiamo che la situazione non è facile, ma è per questo che contiamo su di Lei, perchè il cambiamento del Paese deve partire da questo Ministero, dalla Cultura e dagli uomini di Cultura.

    Certi della sua sensibilità verso la nostra situazione, porgiamo i nostri più cordiali saluti,
    il Comitato Vincitori e Idonei Concorso Mibac 500





    Lucia Spanu, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Generale PIBLO

    Una proposta per i pensionati

    Sono volontaria "per il patrimonio culturale" di una associazione che permette l'apertura al pubblico di importantissimi siti archeologici altrimenti destinati alla chiusura. Purtroppo posso dare solo limitatamente il mio apporto in quanto ancora in attività di servizio e a tal proposito proporrei all'attenzione della nuova coalizione lo studio di una legge che prevedesse una forma di part-time pensionistico rivolto a quei Lavoratori che si sono visti allungare, ad oltranza, l'età della pensione.

    La proposta ha una duplice valenza sia per il Lavoratore che per lo Stato, laddove il primo si vedrebbe risarcito di un danno subito e il secondo avrebbe la straordinaria opportunità di dare finalmente concretezza al termine "sussidiarieta'" invocato dalla nostra Costituzione.



    Associazione Bianchi Bandinelli


    L'Italia dei beni culturali: i nodi del cambiamento

    L’Associazione “R. Bianchi Bandinelli”, in continuità e coerenza con la sua storia, a cui hanno dato impulso intellettuali e politici come Giulio Carlo Argan e Giuseppe Chiarante, indica in sintesi alcune delle proposte contenute in un più ampio Documento che verrà consegnato al futuro Ministro dei Beni culturali e del paesaggio e alle forze politiche, per affrontare i problemi nodali di una politica per il Patrimonio culturale da troppo tempo inesistente in Italia.
    Le proposte prevedono sia azioni immediate, sia un progetto di profondo rinnovamento da attuare a medio-lungo termine.

    1. E’ urgente insediare una Commissione d’indagine interdisciplinare e inter-istituzionale super partes che, ispirandosi al modello della Commissione Franceschini (1964-1967) in una situazione non meno grave per la salvezza del Patrimonio culturale, analizzi e trovi soluzioni a problemi da sempre irrisolti come il rapporto tra formazione/lavoro, tra pubblico/ privato, tra amministrazione centrale e strutture decentrate, con l’obiettivo di costruire finalmente un sistema dei Beni culturali in Italia, che possa diventare motore di uno sviluppo sostenibile.

    1. RISORSE. Occorre rovesciare la logica dei tagli ai bilanci del MiBAC (ormai oltre il 40 %) e a quelli destinati alle istituzioni culturali dagli Enti pubblici territoriali, individuando le risorse per un piano di investimenti pubblici necessari alla modernizzazione delle strutture, alla loro messa in rete e alla creazione di posti di lavoro. E’inaccettabile che le risorse pubbliche investite in cultura in Italia siano precipitate allo 0,19 del PIL, a fronte dell’ 1% della Francia o dell’1,2 % dell’Inghilterra.
    -Garantire la continuità dei finanziamenti per il funzionamento ordinario degli istituti e per la programmazione triennale degli interventi.
    - Impedire che le risorse disponibili vengano sperperate in eventi effimeri
    anziché per le attività istituzionali, che devono essere prioritarie.

    1. FORMAZIONE. L’intera filiera della formazione per le professioni del
    Patrimonio deve essere riordinata, riprogettata e programmata, a cominciare dai numerosissimi corsi di competenza regionale – si pensi in particolare all’insuccesso del Sistema dell’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS) interamente finanziato con fondi pubblici regionali, nazionali ed europei –, per proseguire con le Classi di laurea triennale e magistrale del settore, i Dottorati di ricerca dedicati e le Scuole di Specializzazione. Il compito generale deve essere affidato a una Commissione d’indagine (Proposta 1) e/o a una Commissione mista MIUR/MiBAC. Un intervento urgente deve riguardare il funzionamento e la revisione delle Scuole di Specializzazione del settore, ri-istituite per legge nel 2006, che devono essere gestite in partenariato da MiBAC e Università per garantire l’alta qualificazione degli addetti alla tutela e valorizzazione, nelle strutture statali e locali. In tutta la filiera deve trovare spazio la formazione per l’uso delle tecnologie informatiche applicate ai Beni culturali.
    1. PRECARIATO. Occorrono politiche di contrasto alle varie forme di
    precariato del lavoro esternalizzato per i Beni culturali, attraverso modifiche del Diritto del Lavoro che garantiscano tutele e diritti, trattamento economico uniformato e adeguato alle competenze, sostegno negli intervalli lavorativi.
    - La recente approvazione della Legge 14 gennaio 2013, n. 4 in materia di professioni non riconosciute, che entrerà in vigore entro il corrente mese di febbraio – e la maggior parte delle Professioni del Patrimonio vi rientra - assegna un ruolo fondamentale alle Associazioni di categoria per la certificazione professionale. Diventa indispensabile quindi determinare principi e criteri generali e procedere a una normazione tecnica, a cui l’UNI sta già lavorando per le professioni di “archivista” e “bibliotecario”. In relazione al Quadro formativo europeo e alle linee guida sulla qualificazione delle professioni non regolamentate del 2008 è importante arrivare a definire un quadro nazionale armonico per l’esercizio di tutte le professioni, ordinistiche (come quella di “architetto”) e non, del Patrimonio.

    1. RIFORMA URGENTE DEL MiBAC.
    Premesso che il primo provvedimento urgente deve essere una rigorosa verifica dell’applicazione della normativa vigente in ordine al buon funzionamento di tutte le strutture e dei servizi al pubblico; ribadito inoltre che il Ministero deve privilegiare compiti di rilievo nazionale soprattutto di natura tecnico-scientifica, a cui sia gli enti pubblici territoriali che i privati sono tenuti ad uniformarsi dalla Costituzione (art.9), segnaliamo le seguenti priorità.

    1. Gli Istituti Centrali. Fulcro delle attività tecnico-scientifiche del MiBAC sul piano della ricerca, dell’innovazione tecnologica, della elaborazione di linee d’indirizzo metodologico, della emanazione di standard e requisiti di qualità devono tornare ad essere gli Istituti Centrali preposti alle due funzioni basilari della tutela e valorizzazione: la conoscenza, attraverso il Catalogo e la Documentazione (ICCD- Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, ICCU-Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche, ICAR-Istituto Centrale per gli Archivi); la conservazione e il restauro dei Beni culturali (ISCR-Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, OPD-Opificio delle Pietre Dure, ICCRPAL- Istituto Centrale per la Conservazione e il Restauro del Patrimonio Archivistico e Librario). Sull’attività di questi Istituti, che devono fare sistema assai più che nel recente passato e aprirsi a collaborazioni esterne d’eccellenza, anche internazionali, occorre far convergere in modo continuativo le risorse, disperse al contrario negli ultimi anni in iniziative dall’esito discutibile. Occorre inoltre assicurare loro dirigenza e personale altamente qualificati, oltre che adeguati per numero.
    A questi istituti dovrebbe essere affidato anche il compito di programmare corsi periodici di aggiornamento per tutti gli addetti, compito che già in parte svolgono, mentre il Ministero, per mancanza di risorse, ha abdicato da tempo a questa funzione fondamentale.
    Risorse, strumentazione tecnologica e personale altamente qualificato devono essere assicurati anche alle altre strutture centrali ( Archivio Centrale dello Stato, le due Biblioteche Nazionali Centrali di Firenze e Roma, l’Istituto Nazionale per la Grafica, l’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi), per garantire lo svolgimento sia delle funzioni conservative che di servizio a valenza nazionale.

    1. Le Direzioni Generali Centrali e Regionali. L’attuale numero delle Direzioni Generali Centrali e delle Direzioni Generali Regionali è irragionevole: le seconde potrebbero essere ridotte con opportuni accorpamenti dettati dalla contiguità territoriale, le prime a seguito di una rigorosa verifica delle attribuzioni. Un’opzione che privilegi le une rispetto alle altre non può che essere di natura politica prima che di ingegneria istituzionale, perché comporta un riequilibrio di poteri, compiti e funzioni a scala nazionale.
    E’ questo uno dei nodi più complessi da affidare alla valutazione di una Commissione d’indagine super partes (Proposta 1), che tenga conto di oltre un decennio di esperienze dei funzionari MiBAC, ma insieme delle istanze degli Enti pubblici territoriali e delle rispettive strategie messe in atto per le istituzioni culturali. Obiettivo di tutti dovrebbe essere la realizzazione di modelli di funzionamento in forma di reti e sistemi, basati sull’apporto delle istituzioni statali e locali.

    C. Le Soprintendenze di settore.
    Occorre invertire la tendenza al depauperamento e svilimento della rete
    delle Soprintendenze di settore e degli Istituti periferici, che sono ormai
    da un secolo e rimangono i veri presidi del patrimonio culturale diffuso
    in tutto il territorio nazionale. Nell’ottica delle previste riduzioni numeri-
    che é necessario che l’articolazione territoriale degli uffici venga ridise-
    gnata tenendo conto della qualità e densità dei beni presenti nelle aree
    di competenza e in relazione ai relativi contesti storico-culturali, evitan-
    do gli accorpamenti in Soprintendenze miste, con la conseguente soppressione delle Soprintendenze ai beni storico-artistici ed etno-antropologici.
    D. Il personale tecnico-scientifico : guerra all’incompetenza
    Formazione, qualificazione e reclutamento del personale tecnico-scientifico – come peraltro di quello amministrativo - costituiscono uno dei nodi cruciali del sistema di tutela e valorizzazione, nelle strutture statali come in quelle degli enti pubblici territoriali o gestite da privati, quantomeno di quelli che operano per il patrimonio pubblico. Come è noto, negli organici ministeriali è stato introdotto in misura sempre crescente, accanto a funzionari altamente qualificati e selezionati con rigore attraverso i concorsi dall’esterno, personale privo dei requisiti e delle conoscenze/competenze necessarie, attraverso il meccanismo delle assunzioni in emergenza - si pensi alla L n.285/1977, - delle progressioni verticali di carriera mediante corsi di riqualificazione e concorsi interni, dei comandi da altre amministrazioni.
    La determinazione dei profili professionali è, dal 2001, delegata alla contrattazione sindacale. S’impone una modifica del Codice dei Beni culturali e del paesaggio attraverso cui trovino definizione tutte le figure professionali del Patrimonio, in analogia con quanto disposto dall’art. 29 per le figure del “restauratore” e del “collaboratore restauratore”.

    6. PER UN SISTEMA ARCHIVISTICO NAZIONALE
    A. E’ necessaria una riorganizzazione territoriale delle sedi dirigenziali del MiBAC sulla base di una razionalizzazione e semplificazione della rete degli istituti periferici, in grado non tanto di rispondere alle necessità di risparmio quanto ai bisogni di conservazione e di tutela che l’attuale sistema non è più capace di garantire.
    B. Esiste il rischio dell'impossibilità di conservare una grande quantità di archivi storici a motivo del forte degrado del supporto cartaceo, causato da inadeguate condizioni ambientali (umidità e temperature dei depositi), dalla scarsa competenza degli addetti a riconoscere il degrado dei materiali, nonché dalle esigue risorse finanziarie utili ad assicurare una corretta gestione dei depositi stessi.
    C. Deve essere rivolta particolare attenzione alla conservazione degli archivi contemporanei, caratterizzati da un’esorbitante quantità cartacea delle memorie prodotte negli ultimi sessant’anni, in ragione dell’aumento delle funzioni e delle attribuzioni dello Stato, degli Enti pubblici e dei soggetti privati.
    D. Devono essere individuate nel breve periodo risorse rivolte alle complesse attività di conservazione e fruizione degli archivi digitali (sia gli archivi digitalizzati da supporto tradizionale, sia quelli nati su supporto digitale (digital born). Le esperienze in corso di poli archivistici sostenuti dalle iniziative di alcune Regioni costituiscono un ottimo punto di partenza che richiede da parte dello Stato per i propri documenti innanzitutto adeguati investimenti in grado di consentire lo svolgimento delle funzioni istituzionali  obbligate su cui oggi lo Stato è inadempiente.
    E. È indispensabile la costruzione di forme di collaborazione permanenti con le esperienze regionali in corso e con tutte quelle istituzioni che hanno interessi e obblighi di  conservazione della loro memoria archivistica, tenendo conto di quanto sta già avvenendo in questo senso in molti paesi europei. E’ necessario che in ordine a queste problematiche si prevedano risorse per la ricerca e soprattutto per la messa in opera di un sistema di conservazione digitale per gli archivi delle amministrazioni centrali, oggi del tutto privi di protezione adeguata.

    7. PER UN SISTEMA BIBLIOTECARIO NAZIONALE
    A. Le priorità  per una razionalizzazione del settore delle Biblioteche del MiBAC sono :  •    la  ridefinizione dei servizi nazionali, a partire dalla riorganizzazione delle due Biblioteche Nazionali Centrali di Roma e di Firenze nella Biblioteca Nazionale d’Italia, coordinata con gli Istituti Centrali ICCU-Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche e ICBSA-Istituto Centrale per i Beni sonori ed audiovisivi, ex Discoteca di Stato, che devono svolgere compiti di guida e indirizzo in ordine alle politiche di digitalizzazione, di creazione e diffusione di standard relativi al patrimonio bibliografico, documentario, sonoro e audiovisivo, di cooperazione con
    le istituzioni parallele degli altri paesi;
    • la riorganizzazione  delle altre Biblioteche ora dipendenti dal MiBAC, conservando e valorizzando nel ministero  le sedi  storiche di rilievo nazionale e programmando, sulla base di specifici accordi, l'affidamento delle strutture più affini per patrimonio e tipologia di servizi alle Biblioteche di Enti locali, alle Regioni e alle Università.
    B. La rete nazionale di cooperazione del Servizio Bibliotecario Nazionale SBN,  importante risorsa informativa e di accesso ai servizi delle circa 5000 Biblioteche partecipanti, deve essere potenziata e riorganizzata, trasformando e consolidando l'assetto attuale con  il contributo di tutte le istituzioni. E’ necessario adeguare la
    struttura della rete ai nuovi sviluppi tecnologici e al digitale per garantire l’efficacia dei servizi (informazioni, prestito, fornitura di documenti) ed è ugualmente necessario assicurare il pronto ed efficace funzionamento degli organismi di governo di SBN, in modo che siano rispondenti  ai  nuovi servizi e ai rapporti tra Stato, Regioni, Enti locali e Università.
    C. Deve essere perseguita una corretta politica di digitalizzazione,finora poco rilevante e frammentaria, garantendo la fruibilità in rete delle collezioni. Devono essere  ovviamente coordinate le  iniziative in corso (pubbliche e private) per evitare sprechi ed è necessario garantire un adeguato piano di conservazione nel tempo delle risorse digitali.
    8. PER IL GOVERNO DEL PAESAGGIO
    A. Il paesaggio come “rappresentazione materiale e visibile dell’ identità nazionale” non può essere evidentemente tutelato in autonomia da 20 Regioni, e perciò il Codice dispone (D. Lgs n.42/2004, art. 135, c. 1) che i piani paesaggistici siano elaborati “congiuntamente” tra Ministero dei Beni culturali e Regioni. Che lo Stato non debba partecipare solo nominalmente o in via subordinata alle iniziative regionali, ma debba essere invece il motore della pianificazione è stabilito dalla norma che affida al Ministero dei Beni e attività culturali (art. 145, c.1) la individuazione “delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione”. Ma il Ministero ha sinora del tutto trascurato i piani paesaggistici e delle “linee fondamentali” non c’è traccia.
    B. L’attivazione della pianificazione paesaggistica è urgente anche al fine di fermare il consumo del suolo, che rappresenta un disastro ormai più grave delle ricorrenti crisi economiche e finanziarie, perché il saccheggio del territorio è irreversibile. Lo stop al consumo del suolo dovrebbe essere collocato al primo posto fra i contenuti delle citate linee fondamentali di indirizzo della pianificazione paesaggistica.

    9. PER UNA PIU EFFICACE EDUCAZIONE AL PATRIMONIO CULTURALE Conoscenza e fruizione del Patrimonio culturale sono riconosciute tra i diritti di cittadinanza e collegate ai diritti di partecipazione alla vita democratica. Di qui l’impegno pubblico per l’educazione di tutti i cittadini alla conoscenza e all’uso responsabile dei Beni culturali, sia attraverso la scuola sia con altre opportunità di apprendimento lungo l’intero arco della vita (lifelong learning).
    Istituito con DM del 15 ottobre 1998, il Centro per i Servizi educativi del museo e del territorio è stato integrato nel Servizio II - Comunicazione e promozione del patrimonio culturale della Direzione Generale per la Valorizzazione del Patrimonio culturale del MiBAC (DPR n.91/2009), per dare attuazione all’ art. 119 del Codice, ma ha perduto la configurazione e parte dei compiti che caratterizzavano il progetto scientifico e organizzativo originario, che prevedeva tra l’altro la messa in rete anche delle iniziative e delle attività educative promosse dagli Enti pubblici territoriali. La cosiddetta riforma Gelmini della scuola primaria e secondaria (2008-2010) ha privato d’altra parte gli istituti scolastici dei mezzi per gestire la propria autonomia e poter programmare progetti in accordo con le istituzioni culturali del territorio, in primis con i musei. La riduzione drastica dell’insegnamento della Storia dell’arte, la sua soppressione in tutti gli istituti professionali -persino negli Istituti per il Turismo! – ha ulteriormente compromesso la possibilità di garantire a tutti i cittadini italiani l’esercizio di un diritto, sancito da Raccomandazioni e Convenzioni Internazionali. Per affrontare la complessità del problema occorrono una nuova strategia e nuovi modelli culturali e organizzativi, ma soprattutto la volontà politica di realizzarli in un paese come l’Italia, che dovrebbe avere la leadership in questo campo.




    René Battistella, archivista

    Appunti per un sistema degli Archivi di Stato 

    Posto che la "Cultura" rappresenti un valore tanto importante quanto necessario, chiunque -
    autoritario membro della propria comunità o semplice partecipante - se ne attende un'accurata
    conservazione pensando a un bene sicuramente gestito con equa professionalità, tutelato per
    giungere alle nuove generazioni in tutta la sua preziosa interezza.
    La bellezza di quest'immagine rimane purtroppo ideale in numerose questioni della realtà italiana,
    archivistiche comprese: creato per tutelare varie tipologie di memorie (istituzionali, personali,
    cartacee o anche digitali), infatti, il sistema italiano degli Archivi di Stato è tuttora incapace di
    soddisfare tali requisiti e rende incerta la sopravvivenza stessa di tale bene storico - culturale.
    Tale allarme non riguarda solo poli archivistici periferici (i cosiddetti "Archivi di Stato") bensì
    anche l'Archivio Centrale di Stato a Roma che, progressivamente "svuotato" di personale (perlopiù
    andato in pensione senza che la direzione abbia potuto - o voluto - provvedere un adeguato
    rimpiazzo), possiede numerosi fondi privi d'appropriati strumenti di consultazione o afflitti da
    interventi archivistici eseguiti senza minimo criterio tecnico; talvolta inaccessibili per ragioni poco
    chiare, diverse fonti soffrono inoltre del mancato versamento da parte dei relativi soggetti produttori
    (come inteso nel D. Lgs. «Codice dei beni culturali e del paesaggio», Capo III, Sezione II, Art. 41),
    spesso indifferenti a questo e altri obblighi.
    Gravi per un singolo istituto, i danni causati da simili problematiche rappresentano un problema che
    solo un'attiva collaborazione tra funzionari e "pratici del mestiere" (qui archivistico) può risolvere
    mediante:


    Revisione dei criteri organizzanti la rete degli Archivi di Stato individuando le
    problematiche secondo una lista di priorità, dalla più comune alla meno frequente;


    Modifiche all'apparato tecnico - amministrativo (incluso l'adeguato inserimento di
    nuovo personale per sostituire membri non più "attivi", ovvero assegnati ad altre
    mansioni o pensionati) secondo le individuate problematiche, prestando inoltre attenzione
    all'uso e implementazione delle nuove tecnologie informatiche;


    Miglioramento della gestione archivistica e coinvolgimento dei soggetti produttori tramite
    incontri o accordi volti a garantire la sopravvivenza/versamento della documentazione
    conservata presso i rispettivi archivi.
    Scarni e privi d'un vero approfondimento tecnico, la fermezza di questi suggerimenti poggia
    comunque sul loro intento. Impedire la scomparsa della "memoria", bene di tutti.

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