Comunque, pur accettando questa calo di disponibilità, occorre rilevare che i tagli non sono stati applicati nella stessa misura fra le varie voci di bilancio, piuttosto ci si è spesso orientati verso l’abbandono di interi segmenti mantenendone altri. Sono state sostenute le attività che potevano creare consenso e partecipazione, intanto gli investimenti sono stati progressivamente ridotti fino al loro sostanziale azzeramento. Così mentre la spesa corrente ha permesso fino ad ora il mantenimento di talune iniziative, sono stati interrotti gli interventi di catalogazione e di conservazione, indirizzati sia ai beni culturali, sia agli istituti e ai luoghi della cultura. E così è successo anche per gli investimenti sulla costruzione di sistemi innovativi di accesso, dell’offerta sul web e di oggetti digitali.
Occorre però rilevare che gran parte di ciò che oggi si può fare è frutto di investimenti passati, che i buoni risultati del turismo culturale sono stati costruiti con molti anni di lavoro di descrizione e custodia condotto lontano dai riflettori, la cui interruzione farà si che presto la stessa offerta culturale decada e si riduca, anche a Torino, città dell’arte contemporanea, del cinema e delle grandi conquiste.
È indispensabile quindi che si ricominci a guardare alla cultura in senso ampio, attuando una netta inversione della rotta seguita in questi anni, adottando un piano di investimenti che coinvolga tutti i beni culturali, al pari di quelli in altri settori pubblici. Una nuova stagione che veda le Regioni e il Ministero che investono in cultura, nei beni e nelle persone.
Però la riduzione delle risorse non ha portato con sé solo aspetti negativi. Oggi si ha una maggiore consapevolezza del valore del denaro e del lavoro. Si fa più attenzione a come si impegnano i soldi, si valutano i progetti con maggiore cura e, se tutto procede come deve, la scelta ricade sugli interventi necessari e meritevoli e sullo sviluppo di idee innovative. Perché, al contrario di quanto si possa credere, il territorio esprime una ricchezza e una vivacità ancora palpabile sulle quali bisogna investire.
Pubblico e privato
E se fino ad ora ho fatto cenno solo alle risorse pubbliche, non è perché credo che la cultura si faccia unicamente con i soldi pubblici, ma sono convinto che la partecipazione dei soggetti privati non possa essere usata come alibi per derogare alle proprie responsabilità. Prima lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni sostengano in modo sufficiente i beni culturali nazionali, poi il privato potrà collaborare alle attività di conservazione e di promozione.
Stato e Regioni
Credo davvero che l’Italia che uscirà dalla crisi sarà un Paese diverso. In questo percorso ritengo sia necessario approfondire la riflessione sul rapporto di cooperazione fra il Ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici.
Lavoro
E poi il lavoro. Per anni abbiamo detto ai ragazzi che la cultura avrebbe dato loro occupazione. Che il mondo della cultura aveva bisogno di persone preparate. E così tante famiglie hanno investito nell’istruzione dei figli. Tanti giovani si sono impegnati e hanno studiato duramente. L’Università si è organizzata e ha offerto percorsi ben fatti, così come altri soggetti formativi. E ora? E ora cosa offriamo a questi ragazzi, a queste famiglie? Oggi non c’è lavoro e quasi nessuno di quelli che a partire da una decina di anni fa ha avviato un suo percorso professionalizzante nel mondo della cultura oggi ha lavoro. A loro offriamo stages, volontariato o poco altro. Così questi stessi ragazzi non possono crescere, farsi una famiglia, rendersi utili, e intanto il mondo della cultura sta perdendo, insieme ai suoi beni culturali, il talento, la professionalità e la passione di una generazione.
Nessun commento:
Posta un commento